STORIA DEGLI SCAVI
Gli scavi archeologici di San Pietro degli Schiavoni, nell’omonimo quartiere nel cuore del centro storico di Brindisi, sono una testimonianza molto importante per la loro estensione, e, soprattutto, perchè ci aiutano a comprendere il reticolo viario della città nella prima età imperiale romana.
Il nome del quartiere S. Pietro degli Schiavoni deriva dalla chiesa di San Pietro situata nel quartiere; gli Schiavoni sono invece gli abitanti del posto, prevalentemente Greci e Albanesi che popolarono il rione sin dal ‘500.
“Un vero spaccato di Brindisi romana è offerto dall’area archeologica visitabile di San Pietro degli Schiavoni, sottostante il Nuovo Teatro Comunale, (con entrata) in piazzetta Giustino Durano.
L’area di scavo è attraversata in senso nord-sud da una strada basolata (a), con crepidini (marciapiedi) rilevate. Su entrambi i lati del setto viario si distinguono i resti di strutture abitative.
Il setto viario scoperto nell’area di S. Pietro degli Schiavoni costituisce un cardine (b) dell’impianto urbanistico di Brindisi in età romana.(..) (Il rione) è situato nel pieno centro storico di Brindisi, delimitato a nord da via Tarantini, che ricalca il tracciato di un decumano (c) della città romana, da via della Maddalena a sud, dalle vie Marco Pacuvio e via Duomo, rispettivamente ad Ovest e ad Est, i cui tracciati possono essere corrispondenti a due cardini romani.” (1)
Nel 1964, quando si diede avvio ai lavori per la costruzione del nuovo palazzo di giustizia, in conseguenza dell’abbattimento di alcune abitazioni, affiorarono i primi resti archeologici. Lo scavo continuò in estensione sino al 1966, mettendo in luce un’area archeologica di circa 4800 metri quadri.
L’area veniva attraversata da nord a sud, per circa 100 metri, da una strada basolata, larga m. 4,50, identificabile con un cardine dell’impianto urbanistico della colonia latina di Brundisium. Ai suoi lati “si aprivano ambienti di strutture abitative, pavimentati in opus signinum (cocciopesto), a mosaico e in opus spicatum (mattonelle poste a spina di pesce).” (1)
In seguito alla costruzione del Nuovo Teatro Verdi, sospeso sugli scavi dell’intera area archeologica, numerose furono le perdite rispetto ai ritrovamenti originari e la stessa strada basolata si ridusse a soli 60 metri. “Lo scavo fu condotto non seguendo i rigorosi criteri scientifici che già in quegli anni contraddistinguevano le indagini archeologiche: pertanto, non furono registrate le stratigrafie e furono del tutto ignorati i livelli di età medievale, superiori alle strutture di età romana.” (1)
Erano tipici del rione il dedalo di viuzze, vicoli e piazzette irregolari, le case con “tetto a cannizzo”, ovvero con copertura a doppio spiovente realizzata da travi in legno e canne. Una “isola di miseria cittadina” , con case fatiscenti che nei primi anni ’60 “ospitava luna-park, circhi equestri e teatrini di legno per marionette.
Il rione di San Pietro degli Schiavoni
Fabbricati prima dell’abbattimento
Situazione del quartiere durante i lavori di scavo.
Situazione del quartiere dopo l’abbattimento di alcuni fabbricati e l’ultimazione dei lavori di scavo.
“Nel 1985 la Soprintendenza Archeologica dava al Comune di Brindisi il nulla osta al progetto di sistemazione della zona circostante il Nuovo Teatro Comunale.
Si diede così avvio alla demolizione dei caseggiati lungo la via San Pietro degli Schiavoni. In tale fase dei lavori fu salvaguardata la struttura muraria con archi ad ogiva, che oggi si eleva nell’area compresa fra il Teatro e Palazzo Nervegna.” (2)
“Lo scavo archeologico fu limitato ad una fascia lunga circa m. 50 e larga in media m. 10, estesa in senso nord-sud, corrispondente all’area destinata alla realizzazione della viabilità pedonale e riservata ai mezzi di soccorso.
Furono evidenziate le fondazioni moderne degli edifici preesistenti lungo via San Pietro degli Schiavoni; esse si sovrapponevano in alcuni casi a setti murari di età medievale relativi ad ambienti dei quali non fu possibile evidenziare il perimetro, considerata la limitata larghezza dell’area indagata, nè definirne la cronologia, dal momento che lo scavo non interessò i livelli integri di età medievale ma solo quelli superiori sconvolti.
Nel settore nord dell’area si misero in luce 19 sepolture di età medievale, connesse ad una chiesa, alla quale poteva essere pertinente la pavimentazione in marmo scoperta negli anni 1965-66 nell’area ora corrispondente ai pilastri del teatro. (..) Furono quindi evidenziati brandelli di pavimenti, da riferire ad una domus della prima età imperiale romana, dalla planimetria non definibile.
Essi erano realizzati in cocciopesto, e cocciopesto con inserzioni in marmo e a mosaico. Il mosaico di un ambiente (..) presenta un tappeto di tessere bianche con una decorazione geometrica nella parte centrale.
I lembi di crolli di intonaci delle pareti e del soffitto dell’ambiente, rinvenuti sul mosaico, contribuiscono a denotare la ricchezza dell’abitazione patrizia. Gli intonaci recano, infatti, decorazioni floreali e geometriche. Attualmente l’area esterna da indagare costituisce una riserva archeologica di circa 1.000 metri quadri estesa fino a via Duomo e consentirà di raccordare San Pietro degli Schiavoni con i livelli sottostanti di Palazzo Nervegna e Via Duomo.” (2)
Non è un caso che, solo a pochi metri di distanza, ci sia l’importante scavo di via Casimiro in un’area della prima metà del II secolo d.C., su cui insiste un pavimento musivo ed importanti resti fra cui il sarcofago vetero-cristiano in pietra palestinese tuttora custodito presso il Museo Provinciale Ribezzo di Brindisi.
Il prof. Francesco D’Andria in occasione del rinvenimento dei resti di via Casimiro nel 1956-7 disse che in questa zona della città “doveva sorgere anche il foro a cui sono forse da attribuire i rinvenimenti di via Casimiro, con una grande piazza porticata, notevoli resti di trabeazioni marmoree, cornici decorate da mensole e resti di un tempio”, cui secondo Benita Sciarra, dovrebbe riferirsi anche un elemento di frontone ornato di maschere teatrali, “con colonne tortili poggianti su larghi basamenti quadrati con zampe ferine; (mentre) i mosaici appartengono a edifici di epoca precedente”.
Ci informa G. Carito nella sua Guida, che “sia i capitelli di un grande edificio ritenuto di “tarda epoca romana” che il sarcofago vetero-cristiano in pietra locale di tipo palestinese e la lastra votiva con rappresentazione del volatile che becca il ramo di un vegetale attribuibili al tardo VII sec. e pertinenti probabilmente alla chiesa di S. Pelino” sono ora conservati nel Museo Provinciale di Brindisi. Detto questo l’area archeologica di via Casimiro, depauperata dei pezzi più interessanti e circondata dalle nuove costruzioni che sono sorte proprio in quel periodo in mancanza di un piano regolatore e che impediscono ulteriori scavi, hanno relegato da tempo quest’area a una sorta di deposito aperto alle avversità atmosferiche e chiuso ai visitatori. Avrei voluto fotografare quel che è rimasto là sotto ma non l’ho potuto fare perchè un cancello con catena lo impedisce! (tutte le notizie che ho citato provengono dalla Nuova Guida di G. Carito pp.276-277)
Il quartiere romano
Entriamo all’interno dell’edificio che racchiude l’area archeologica e percorriamo i vari settori partendo dal corridoio a sinistra ove è ubicato l’ingresso, non mancando di dare qualche splendida visione d’insieme all’area e un’occhiata a parte della cartellonistica presente.
Settore Sud-Occidentale
“Era occupato da strutture abitative delle quali furono messe in luce nel 1964-66 vari ambienti pavimentati in coccio pesto, a mosaico e in cotto. Con la costruzione del teatro tali testimonianze furono sacrificate, rimane solo un muro in opera quadrata che costituiva in origine l’affaccio sulla strada di botteghe, di cui si conserva una soglia.
E’ ora visibile solo il fondo di una fossa, originariamente scavata nel banco argilloso, dove si osservano dei mattoni (sesquipedales) e che ingloba un dolio (d) di cui si vede solo la parte superiore.
“Ben evidenziate sono due canalette fognarie che confluivano nel collettore centrale al di sotto della sede stradale.
All’estremità nord del settore si sono evidenziate le fondazioni di due setti murari paralleli realizzati con pietrame a secco, databili al II sec a.C. e ortogonali al muro in opera quadrata con affaccio sulla strada basolata.” (2)
Settore Nord-Occidentale
“E’ stato rinvenuto l’ambiente di una domus con pavimento a losanghe definite da tessere di marmo, con emblema centrale policromo.
“Il prestigio della dimora è documentato da alcuni materiali scultorei rinvenuti: un oscillum in marmo e un grifo di marmo. Dopo la costruzione del Teatro in tale settore restava solo un lembo della pavimentazione a mattoncini e resti di una canaletta. (..) Il pavimento a mattoncini presenta rifacimenti e strati di calcare sovrapposti che fanno supporre, con molta probabilità l’esistenza di una latrina.
La canaletta, della quale solo oggi è stato delineato l’andamento, scaricava i liquami nel collettore sottostante la strada.” (2)
La strada
“La strada basolata con orientamento Nord-Sud è un cardine dell’impianto urbanistico di Brindisi romana. Oggi è conservata per m. 60, è larga m. 4,50 ed ha marciapiedi ai lati. In alcuni punti sono evidenti le tracce dei solchi dovuti al passaggio dei carri.
Ai fini del restauro si sono praticati alcuni saggi di scavo in corrispondenza delle lacune del basolato attribuite all’usura e alla mancanza di manutenzione in età tardo antica. La verifica archeologica ha consentito di stabilire innanzi tutto l’assenza di sottofondi stradali.
La strada presenta ampie lacune nella parte centrale che devono attribuirsi alla necessità, determinatasi già in età romana, di procedere a riparazioni del condotto fognario sottostante, documentate nel corso dei lavori. Il collettore fu realizzato con spallette di pietrame ed era coperto con lastre di pietra.
Nel collettore centrale confluivano i canali di scolo delle costruzioni che si affacciavano sulla strada. All’estremità sud della strada si è evidenziata una canaletta confluente nel collettore centrale costruita con spallette di mattoni e malta e coperta da tegole disposte a doppio spiovente.” (2)
Settore Nord-Orientale
“All’epoca dello scavo in questo settore fu messo in luce un vasto ambiente con pavimento di marmo decorato, attribuito ad un edificio di culto paleocristiano, che si sovrappose ad una domus di età romana. Dopo la costruzione del teatro restavano solo brandelli di opere murarie. La verifica archeologica ha consentito di ben evidenziare le strutture murarie delle costruzioni più recenti, delle quali non è possibile definire la destinazione rispetto a quelle di età romana, fra le quali un muro in opus craticium (tramezzo di argilla e legno intonacato su entrambi i lati). I materiali archeologici rinvenuti ed una moneta in bronzo della zecca di Orro datano la struttura in opus craticium agli inizi del secolo II a.C. La pulitura del banco di roccia ha messo in evidenza alcune fosse praticate in età medievale.” (2)
Domus
“Nel settore centrale dell’area archeologica fu messa in luce una domus della quale fa parte l’ambiente con pavimento a mosaico a tessere bianche delimitate da una fascia di tessere nere, databile tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del successivo. Il pavimento presenta delle integrazioni più tarde con lastre di marmo ed è interrotto dal fondo di due buche praticate in età medioevale. Le pareti del vano furono intonacate e dipinte più volte e riutilizzano nella costruzione un elemento architettonico di età ellenistica.
Il vano costituiva il triclinium (sala da pranzo) dell’abitazione patrizia, affiancato sui lati brevi da altri due ambienti, con accesso dal portico colonnato di un peristilio.
Il peristilio e il portico, non più visibili, erano pavimentati con un mosaico bianco delimitato da un motivo ad onda corrente tra fasce in nero.
La verifica archeologica eseguita in funzione del lavoro di restauro ha ben evidenziato vasche di raccolta di acqua, collegate ad una canaletta di scolo nel collettore fognario sottostante la strada.
La copertura di tale canalizzazione era realizzata da grossi coppi ed embrici in terracotta trovati nella parte più superficiale del riempimento, probabilmente in fase di crollo, alcuni dei quali con bollo rettangolare impresso riportante il nome della figlina Pansiana.” (2)
Il mosaico
“Il pavimento del triclinium (sala da pranzo) è costituito da un tessellato monocromo bianco in ordito obliquo piuttosto regolare, riquadrato da una fascia di filari di tessere nere, definita, sia verso il tappeto centrale che verso la balza marginale, da duplici filari di tasselli bianchi.
Il pavimento presenta delle integrazioni più tarde con lastre di marmo e interruzioni prodotte da due ampie buche di età medievale.
La datazione al I secolo a.C., in assenza di dati di scavo, si basa sull’utilizzo di tessere di piccolo formato, connesse in maniera regolare in trama obliqua.” (2)
Settore Sud-Orientale (le terme)
“Il settore è interamente occupato da ambienti riferibili ad un complesso termale, databile nella sua ultima fase edilizia, all’età tardoantica.
Testimonianza della prima fase edilizia del complesso termale, databile probabilmente alla prima età imperiale romana, è una struttura semicircolare, visibile solo in fondazione, scoperta proprio durante i lavori di restauro.
Probabilmente nella prima fase edilizia, il complesso termale doveva essere di carattere pubblico e svilupparsi verso est, attuale area esterna al teatro, dove nel corso dello scavo del 1986 fu scoperto un pavimento a mosaico (oggi all’interno del Nuovo Teatro) che utilizzava nel preparato intonaci dipinti e con iscrizioni.
La datazione nell’ambito della tarda età imperiale dell’ultima fase viene suggerita dalla tecnica costruttiva (opus mixtum), che riutilizza elementi di spoglio, e dalla moltiplicazione dei vani riscaldati, tipica del periodo.
Attualmente può riconoscersi il frigidarium (e), nel vano con vasca semicircolare addossata, da cui si dipartiva una canaletta per il deflusso dell’acqua che confluiva nel collettore fognario esistente al di sotto della sede stradale.
Il calidarium (f) era direttamente servito dal praefurnium (g) che invade la sede stradale
Il calore immesso circolava nel sottopavimento attraverso suspensurae (h) costituite da pilastrini formati da mattoni quadrangolari e circolari. (..) I vani contigui a sud, da identificare con tepidaria (i), erano anch’essi riscaldati ad hypocaustum (l) dal calore proveniente dal calidarium. (..) Il rinvenimento di alcune monete all’interno dell’ambiente, consente di fissare l’ultima fase del complesso al IV secolo d.C.” (2)
Note:
(a) Pavimentazione stradale fatta con bàsole. La bàsola è un blocchetto di roccia eruttiva, di forte spessore e di dimensioni abbastanza grandi (alcuni decimetri), usato per pavimentare strade carreggiabili; può essere a contorno poligonale, come nelle antiche strade romane, o rettangolare, e viene posato su sottofondo di sabbia o di malta.
(b) (Lat. cardo). Nella città romana era la via principale di attraversamento nord-sud, che si incrociava per lo più nel foro (vedi nota), con il decumanus (vedi nota), la via principale di attraversamento est-ovest. (L’Arte italia di P. Adorno. Ed. G. D’anna Messina-Firenze)
(c) Nella città romana, decumanus era la via principale di attraversamento est-ovest, che si incrociava per lo più nel foro (vedi nota), con il cardo (vedi nota), la via principale di attraversamento nord-sud. (L’Arte italia di P. Adorno. Ed. G. D’anna Messina-Firenze)
(d) Grande vaso (Treccani.it)
(e) Nelle terme degli antichi Romani, la sala con vasca per il bagno freddo, alla quale si giungeva dopo aver passato il calidario e il tepidario. (Treccani.it)
(f) Nelle antiche terme romane, sala riscaldata per prendere il bagno caldo e sudare. (Treccani.it)
(g) Nelle antiche terme romane, ambiente destinato al riscaldamento dell’acqua, situato presso il calidario: conteneva tre grandi caldaie di metallo, una per l’acqua calda, una per l’acqua tiepida e la terza per l’acqua fredda (Treccani.it)
(h) Pilastrini a sezione quadrata o circolare, di mattoni o di pietra, alti circa mezzo metro, che sorreggevano il pavimento rialzato delle sale termali romane destinate ai bagni caldi, intorno ai quali circolava l’aria calda che veniva dai forni. (Treccani.it)
(i) Uno degli ambienti delle terme romane, di passaggio tra quelli destinati al bagno caldo e al bagno freddo: talvolta serviva anche da spogliatoio. (Treccani.it)
(l) Impianto adottato dagli antichi Romani per riscaldare gli ambienti nelle terme, nelle case, nelle ville e negli accampamenti; consisteva nel far circolare sotto il pavimento – che era opportunamente rialzato con pilastrini in mattoni o muratura in modo da formare una camera d’aria – e nelle pareti, attraverso mattoni cavi, aria calda proveniente da un forno (Treccani.it)
Un ringraziamento all’amico Mario Carlucci che ha collaborato con me nella ripresa delle immagini.
Un ringraziamento particolare alla Biblioteca Arcivescovile A. De Leo di Brindisi, per aver gentilmente messo a disposizione le fotografie dell’archivio personale fotografico T.Col. Briamo, da cui è tratto tutto il materiale fotografico d’epoca, comprensivo di didascalie del presente articolo.
Bibliografia e siti web:
“Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica.”
(1) Brindisi Romana – L’Area archeologica di San Pietro degli Schiavoni, di Assunta Cocchiaro. Opuscolo illustrativo che riprende il testo e le immagini del fascicolo edito nel 2001 nell’ambito di un intervento di valorizzazione dell’area archeologica di S. Pietro degli Schiavoni cofinanziato dall’U.E. – Programma operativo multiregionale turismo – Sottoprogramma I Misura 5 “Servizi per il turismo culturale”.
(2) Informazioni rilevate da materiale espositivo sul luogo degli scavi a cura di: Città di Brindisi, Regione Puglia, Ministero per i beni e le attività culturali.
complimenti ! lavoro eccellente !
Grazie. Ciascuno si impegna come può per valorizzare la
città!
Ho una immensa amarezza!!! Brindisi, per i “doni” che la Natura le ha elargito, potrebbe essere collocata fra le Città più ricche di Storia grazie ai resti archeologici che sono stati portati alla luce ma che spesso sono stati ricoperti con edilizia recente.
posso continuare io: “più belle al mondo”. Cerchiamo almeno di salvare il salvabile. Ciao Domenico